Teatro

Speciale Fringe 2013

Speciale Fringe 2013

Il tempo e la stanza

Testo claustrofobico e complesso, nel quale singole persone e coppie ricordano i propri trascorsi, depositati in un passato che viene evocato, ricordato e raccontato assumendo i toni universali del mito, senza mai uscire davvero dal particulare delle loro biografie esistenziali, Il tempo e la stanza di Botho Strauss vede nove personaggi sopravvissuti a se stessi interrogarsi sul senso della propria esistenza con una lucidità dolente e malinconica come fa il giovane Julius che constata con piena consapevolezza:


Io sono venuto al mondo per ricevere un milione di delusioni, come dice Swift. E quante ne ho accumulate? A malapena una dozzina. Mi sono fatto più prudente. Ma è tutto lì. E che significa poi? Vivere la propria vita fino al limite estremo della prudenza? Alla fine si diventa talmente vulnerabili che non si sentirà più cadere una goccia di pioggia senza toccarsi subito la testa.

Nove esistenze, molte con un nome che è più una funzione narrativa che un nome proprio, come ricorda nelle sue bellissime parole d'amore la regista Alessia Barbieri Pomposelli:

Mi sono innamorata, ancora e ancora delle passeggiate nervose della Impaziente, del suo modo così buffo di sfiorare appena la terra pur essendone irrimediabilmente attratta; ho conosciuto La Addormentata e ho dormito accanto a lei sul divano di quell’orribile albergo in fiamme; ho viaggiato in un tempo scomposto con L’Uomo senza Orologio; sono stata tra le braccia dell’Uomo in cappotto e ho amato perdutamente Julius. Ho fatto l’amore con Marie Steuber e sono stata l’amante appassionata di Olaf; Ho conosciuto i fantasmi più intimi del
Perfetto Sconosciuto e abbracciato in una fumosa vecchia stazione di treni Frank Arnold. Ho vissuto con tutti loro, li ho ascoltati lungamente, li ho riconosciuti.

Un testo complesso ridotto per il fringe al solo primo atto mentre il secondo, quello che si occupa del mito di Medea, analizzato nella sua spendibilità contemporanea per illuminare comportamenti e (pre)giudizi degli uomini e delle donne, rimane come traccia visiva nel video trasmesso su un monitor al centro del palco che va per tutta la durata dello spettacolo.

Lo spettacolo è andato in scena nella sua interezza agli inizi dell'anno, questa riduzione (ma la parola rischia di avere un significato sminuente che non si addice affatto allo splendido lavoro fatto dall'associazione culturale Arcadia delle 18 lune)  non poteva raggiungere risultato migliore.

La regia curatissima (e se far muovere 9 personaggi su un palco non è cosa facile di per sé, immaginatevi farlo nei palchi all'aperto e piccoli del Fringe)  non abbandona mai attori e attrici prevedendo sempre un motivo scenico per la loro presenza sul palco anche quando non hanno battute e vengono posti su dei cubi  come statue viventi (alludendo alle colonne parlanti del secondo atto) mentre Strauss, più canonicamente, li toglie dal palco.

La messinscena, pulitissima e calibrata, si avvale dei meravigliosi costumi di Paola Scafareo, che nella loro commistione tra classicità e contemporaneità, contribuiscono a dare spessore ai personaggi i cui tratti caratteriali sono scritti anche in un dettaglio indossato con rimandi alla pittura (il surrealismo belga dell'uomo con una calza che gli nasconde il volto) e alla cultura pop (la calzamaglia sdrucita indossata da Kulius come una decaduta stra del glam rock).

Curatissimi anche i movimenti e la postura  organizzata e coordinata in una vera e propria partitura coreutica che con un tic, una caratteristica della postura, fa affiorare i loro fremiti d'animo, il loro essere ogni personaggio ha una propria  cifra coreutica  che lo distingue.

Dalla continua verifica di avere l'orologio al polso e conseguente sgomento nel constatarne la mancanza che Giovanni Marocco ripete centinaia di volte (sempre con una sincerità che non ci fa mai vedere un attore al lavoro ma davvero il personaggio che interpreta) alla camminata che ammalia, sbilenca e leggerissima,  di Arianna Paravani, vestita di una sorta di crinolina priva di tessuto, una gabbia privata che porta sempre con sé, per citare solo due fra gli attori e le attrici che meriterebbero ognun* una menzione particolareggiata, che non facciamo solo per motivi di spazio, ogni personaggio ha una matrice performativa unica e inconfondibile, offrendosi sempre allo sguardo del pubblico con rinnovata curiosità, chiamato a partecipare, esplorare e indagare il palco, sempre sollecitato da qualcosa di nuovo che avviene sulla scena.

Se si aggiunge, senza paternalismo, che la compagnia è giovane e fatta di giovani, possiamo affermare senza tema di smentita che Il tempo e la stanza segna una cesura nella scena romana imponendo con questo riuscitissimo allestimento un nuovo altissimo standard negli spettacoli teatrali auto-prodotti che eccelle in ogni sua componente: dalla recitazione alla regia, dai costumi alle luci e al trucco, dalla drammaturgia alla dizione, senza dimenticare la scenografia o la partitura sonora nella quale oltre la musica una serie di rumori (previsti nel testo) sostengono la scansione ritmica del racconto, attestandosi su di uno standard qualitativo difficile da raggiungere.

Per Barbieri Pomposelli e Arcadia delle 18 lune abbiamo solo una parola: Chapeau!